Gli interventi introdotti dal Governo a seguito della Finanziaria approvata hanno fatto della scuola e dell'Università il tormentone di queste settimane.
Gli interventi governativi hanno tutti un'impronta prettamente economica e sono, quindi, orientati a produrre dei risparmi, o tagli, sulle risorse destinate a scuole e Università.
In particolare, il famoso decreto Gelmini interessa principalmente la scuola primaria attraverso, soprattutto, la reintroduzione del maestro unico, cui viene affidata la didattica per complessive 24 ore settimanali, e rimanda ai regolamenti per quanto riguarda una più ampia articolazione del tempo scuola.
Senza volere entrare nel merito della questione, la prima cosa sconcertante del decreto è la sua dimensione: appena otto paginette ivi comprese le parti esclusivamente formali.
Obiettivamente, il documento appare assolutamente superficiale e non fornisce alcuna certezza in merito anche alle rassicurazioni che tanti esponenti del Governo, a partire dal premier e dalla stessa ministro Gelmini, hanno fornito verbalmente a fronte delle contestazioni mosse al decreto, con particolare riferimento al destino del tempo pieno che risponde a esigenze sociali diffuse nel Paese.
Al di là do ogni disputa sugli aspetti pedagogici, l'Esecutivo ha il dovere di elaborare dei provvedimenti che siano esaustivi della questione trattata, evitando le dichiarazioni generiche che sono suscettibili delle interpretazioni più diverse e che non possono lasciare tranquilli i cittadini che, a giusta ragione, non ripongono grande fiducia né nella classe politica né nell'amministrazione scolastica: questo dovere non è stato rispettato dalla stesura del decreto approvato; pertanto, l'Esecutivo dovrebbe produrre in tempi brevissimi le specifiche dettagliate in merito all'applicazione delle nuove norme, evitando di rimandare alla fine di Gennaio per la verifica della diffusione che avrà il tempo pieno nel nuovo anno scolastico!
L'altro aspetto che non è degno di considerazione e andrebbe immediatamente superato è quello relativo alle classi-ponte nelle quali dovrebbero confluire, per il tempo necessario a colmare il loro deficit, quei bambini che non hanno sufficiente dimestichezza con la lingua italiana: la nefandezza della norma si commenta da sola in quanto introduce una differenziazione sostanzialmente inutile, da un punto di vista didattico, e dannosa, da un punto di vista educativo.
Detto ciò, desidero testimoniare che il problema è presente anche nella scuola primaria attuale; difatti, il più grande dei nostri figli adottivi giunse in Italia in età scolare il primo Dicembre 2004 e la scuola ci ha caldamente consigliato di rinviare il suo inserimento nella scuola primaria all'anno scolastico successivo, in quanto la maestra di riferimento riteneva didatticamente inopportuno l'inserimento di un bambino che, alla data, non parlava italiano!
Nessun commento:
Posta un commento